Riprendiamo le nostre quotidiane fatiche dopa la pausa estiva con una inquietudine strisciante. Siamo pervasi da una sensazione di calma solo apparente, una sorta di stallo minaccioso che potrebbe degenerare da un momento all’altro. E non tanto per le misere vicende di casa nostra, che ci hanno massacrato gli attributi tutta l’estate con la penosa vicenda dell’Imu e della fatidica decadenza senatoriale, su cui tacciamo per carità di Patria.

Ci sono due uomini che ci appaiono seduti con la testa tra le mani, intenti a spremersi le meningi per trovare la giusta direzione. Il Presidente Obama sembra tentennare di fronte alla intricatissima crisi siriana. Alterna uscite spavalde a momenti più riflessivi, cerca improbabili sponde politiche, appare un po’ frastornato tra falchi e colombe. Il mondo intero osserva con il fiato sospeso, per il destino di un popolo martoriato e per le conseguenze nefaste di un possibile nuovo scenario di guerra. Soltanto la speculazione finanziaria non resta a guardare: quando Barack si mostra più bellicoso, le borse crollano e l’oro risale alle stelle. Il giorno dopo, il Presidente tira il freno ed accade l’esatto contrario. Qualcuno esulta per i guadagni, qualcuno si dispera per le perdite subite.

Parallelamente Ben Bernanke, il secondo attore della rappresentazione, assume sembianze quasi amletiche. Lo immagino su un palco, con attitudine alla Vittorio Gassman, che scandisce di fronte alla platea dei mercati internazionali: “tapering or not tapering?”. Tutti con il fiato sospeso: finirà la politica monetaria espansiva di questi ultimi anni? Quando finirà? Come finirà? La FED per un lungo tempo ha garantito al mondo una iniezione di 85 miliardi di dollari al mese. Questa enorme massa di liquidità ha fatto lievitare tutti i mercati finanziari, proprio come dice la saggezza popolare: “l’alta marea fa alzare tutte le barche”. Ma il giochino non può durare all’infinito. A metà giugno, Ben ha soltanto accennato al fatto che la festa potrebbe finire: e via con l’ondata dei disinvestimenti, in particolare sui mercati obbligazionari e sulle valute dei Paesi emergenti. India e Brasile (ma non solo) stanno già pagando un conto salatissimo. Tutto sembra essere legato al sottile filo delle sorti dell’economia americana, che potrebbe rallentare o accelerare questo delicatissimo processo.

In attesa che i Grandi Decisori decidano, le statistiche ci forniscono numeri secondo i quali, almeno per la vecchia Europa, la “recessione dovrebbe essere finita” e l’agognata “ripresa” ormai alle porte. Non osiamo contraddire questo fior fiore di studi econometrici, ma la nostra quotidiana esperienza sul campo è un po’ diversa. Gli indomiti imprenditori (quelli bravi) intavolano tante trattative, ma di ordini firmati non se ne vedono molti. Quando poi c’è bisogno del supporto delle banche, non resta che farsi il segno della croce. E allora si vive un po’ alla giornata, inseguendo i creditori e rimandando gli investimenti sine die, augurandosi che il domani sarà migliore. Barack e Ben permettendo.

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