Per coprire gli slittamenti di Iva ed IMU, il Governo ha fatto la grande pensata: aumentare la percentuale degli acconti che paghiamo su altre tasse. Così, pagheremo in anticipo il 100% dell’Irpef, il 101% dell’Ires ed il 110% dell’Irap. Si, avete capito bene: gli acconti saranno maggiori del totale da pagare! Una follia assoluta. L’alternativa? Neanche a parlarne, silenzio totale, quasi una bestemmia in questo Paese: tagliare la spesa pubblica. Basta incrociare alcune notiziole di questi giorni, passate un po’ in sordina, per comprendere la portata del problema.

Spending review in Gran Bretagna – 26 giugno: il cancelliere George Osborne annuncia il varo della sesta manovra sulla spesa pubblica in tre anni. Ulteriori 12 miliardi di sterline di risparmi: 144 mila dipendenti pubblici in meno, tagli mirati al budget dei vari ministeri fino al 10% ad eccezione di istruzione e sanità che non vengono toccati. Parallelamente, robusto piano quinquennale di investimenti in infrastrutture. Lo slogan utilizzato dal premier Cameron per accompagnare la manovra è stato il seguente: “per ogni posto perso nel settore pubblico, ne sono stati finora creati tre in quello privato”.

Spending review in Italia: 29 giugno: il ministro Saccomanni annuncia l’istituzione di un ennesimo comitato interministeriale per formulare delle proposte. Ovviamente, non poteva mancare nemmeno il commissario straordinario a guidare il comitato. Esattamente come avevano già fatto Padoa Schioppa e Monti con i risultati che ben conosciamo. La prima cosa che mi viene da pensare è: ma è mai possibile che non abbiamo mai un ministro che abbia qualche straccio di idea in materia di ristrutturazione della spesa pubblica? O che si assuma la responsabilità di fare delle proposte? C’è sempre bisogno di trincerarsi dietro un comitato di presunti esperti? Le nostre perplessità iniziali sulla nomina dell’ennesimo banchiere alla guida del ministero trovano puntuale riscontro.

Di cosa è figlia questa situazione? Credo di poter dire: da una parte, della totale inettitudine dal punto di vista delle competenze gestionali. Dall’altra, delle corporazioni e dei gruppi di potere che dominano questo Paese e che impediscono qualsiasi intervento. Un esempio del primo tipo è uscito sui giornali di ieri: spendiamo oltre 20 milioni di euro per pagare le spese telefoniche dei parlamentari, quando basterebbe adottare una delle tante offerte “all inclusive” per portare la spesa da 20 a 2 milioni, con un risparmio del 90%. Un esempio del secondo tipo me lo ha offerto la Grecia con la dolorosissima decisione di chiudere la tv pubblica. Non dico certo di arrivare a tanto, ma mi chiedo: a cosa servono tre reti, con tre telegiornali che tra l’altro riescono a raccontarci le stesse notizie in tre modi diversi? Non  basterebbero due reti e magari un solo TG meno targato politicamente? Qualcuno ne sentirebbe la mancanza?

Sono soltanto dei piccoli esempi ma ne potremmo fare a centinaia. Ne approfitto per ricordare due dati: su un totale di 800 miliardi di spesa pubblica, ci continuano a ripetere che si può “manovrare” su circa 200, essendo gli altri stipendi, pensioni e interessi. Ammesso e non concesso che sui 600 non si possa fare niente, basterebbe una riduzione del 5% dei 200 disponibili per evitare in via definitiva l’aumento di 1 punto di Iva ed abolire l’Imu sulla prima casa (totale meno di 10 miliardi). Non mi si dica che è impossibile perché non ci crederò mai. Anzi preannuncio una iniziativa di Labeconomy per settembre: uno spazio dove i nostri lettori potranno “imbucare”, come in una casella della posta, le loro proposte: di morte per la spesa improduttiva, di vita per il futuro del Paese.

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