Sono passati quasi 23 anni da quando è stato spento l’altoforno dell’Italsider di Bagnoli. Da allora i governi centrali e locali che si sono susseguiti non hanno fatto molto per attuare l’ambizioso piano di riconversione. Basti pensare che la bonifica dei terreni, iniziata nel 1996, non è ancora ultimata. Lo stesso dicasi per le acque del meraviglioso golfo antistante: doveva essere la sede della recente Coppa America, poi spostata sul lungomare di Napoli. Qualcosa è stato fatto: la città della scienza, andata poi distrutta nell’incendio del marzo scorso; il parco dello sport, che è in fase di ultimazione. Ci sembra però un po’ poco in oltre vent’anni e la situazione è in stallo, naturalmente per la scarsità di fondi. La società che gestisce la riconversione ha anche aperto ad investitori privati, ma le incertezze legate al progetto e all’ambiente sono più forti della bellezza e delle straordinarie potenzialità del luogo.

Lasciando da parte i risvolti, pur importanti, di malaffare e criminalità, la vicenda di Bagnoli ci offre lo spunto per una più ampia riflessione. E’ una strada corretta quella di insediare industrie, in particolare industrie pesanti,  in luoghi dove storia e bellezze naturali la fanno da padrone? Oltre a Bagnoli vengono in mente i casi del Petrolchimico di Porto Marghera proprio di fronte a Venezia (città unica al mondo!), o la raffineria di Porto Torres a pochi chilometri da Stintino, una delle spiagge più belle del mediterraneo e dall’area protetta dell’Asinara. Non è forse meglio valorizzare e puntare sulle risorse intrinseche di un territorio? Se pensiamo a quanto ha da offrire tutto il Sud Italia in termini di turismo, storia, cultura, gastronomia e risorse agricole, e a quanto poco sono valorizzate, riteniamo che ce ne sia abbastanza per dare un sostanzioso contributo al PIL. Si pensi inoltre al risparmio di costi “da riconversione” ed all’impatto sulla salute (ed ai relativi costi):  emblematico il caso dell’Ilva di Taranto.

L’ex ministro Tremonti aveva pubblicamente dichiarato che “con la cultura non si mangia”. Ci dispiace, caro Tremonti, ma non siamo affatto d’accordo. La cultura in senso lato, intesa come storia, religione, architettura e, perché no cultura enogastronomica, richiama turisti da tutto il mondo. Certamente c’è molto da fare per valorizzare le risorse del nostro Paese e non lasciare che crollino letteralmente sotto il peso dell’incuria e della trascuratezza. A questo proposito, non si vede granché nel programma del nuovo governo sotto la voce turismo e valorizzazione del patrimonio culturale. Ben venga qualche allegra biciclettata del ministro Bray per verificare lo stato di alcuni siti (di recente la Reggia di Caserta). Per un concreto rilancio del turismo, però, è giunto il momento di lasciare la bicicletta e prendere l’alta velocità.

 

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