Mai come ora nell’occhio del ciclone, le fondazioni bancarie sono diventate il simbolo della intrusione dei politici nelle istituzioni. Della torbida vicenda MPS abbiamo già diffusamente parlato su questo blog e quello che emerge è un intreccio perverso di incompetenza, scellerata gestione delle risorse e interessi personali. Ma il discorso delle fondazioni è molto più generale. Le 88 fondazioni bancarie italiane sono riunite nella Acri, “associazione volontaria, senza fini di lucro, apolitica” (come recita la presentazione), presieduta dall’ottuagenario avvocato Giuseppe Guzzetti. Degno di nota voler specificare che sia apolitica: excusatio non petita, accusatio manifesta, verrebbe da dire. Ed in effetti la peculiarità delle fondazioni bancarie italiane è proprio questa: sono gestite da politici con logiche politiche.

Un minimo di storia: le fondazioni sono istituzioni private no profit, nate dall’esigenza di scorporare l’attività filantropica da quella imprenditoriale bancaria. La legge delega Amato/Carli n. 218/90 è alla base della nuova impostazione per la trasformazione degli enti bancari in S.p.A. e la loro apertura al mercato. Le fondazioni nel tempo avrebbero poi dovuto collocare le azioni degli enti bancari sul mercato e si sarebbero limitate ad attività sociali di carattere locale, che per legge devono rappresentare il 90% delle loro iniziative. In effetti, nel 2011 le fondazioni bancarie hanno effettuato 25.000 interventi per un totale di 1,1 miliardi di Euro, contribuendo soprattutto ad iniziative nel campo dell’arte e beni culturali, ricerca, assistenza sociale, educazione, salute pubblica, volontariato e beneficienza.Le risorse per queste iniziative vengono attinte dal loro vasto patrimonio, valutato 43 miliardi di euro al 2011, costituito da posizioni minoritarie ma strategiche negli ex enti bancari pubblici oltre che immobili e attività finanziarie derivanti da dismissioni.

Emblematica è l’esperienza della Fondazione Cariverona. A capo vi è Paolo Biasi, imprenditore di caldaie, che nel tempo è entrato ed uscito da cariche in diverse istituzioni finanziarie nell’orbita Unicredit, di cui la Fondazione controlla il 3,5%. Il Consiglio Generale della Fondazione è l’artefice delle decisioni strategiche. Su 32 membri, l’art. 9 delle Statuto recita: “ i membri del Consiglio Generale devono essere individuati tra persone di comprovata capacità in campo culturale, scientifico, imprenditoriale, amministrativo, delle libere professioni e delle iniziative sociali, in grado di favorire il migliore perseguimento dei fini della Fondazione…” e 22 sono nominati “sulla base di designazioni effettuate, in numero di: 4 dal Sindaco di Verona; 1 dal Presidente della Provincia di Verona; 1 dal Sindaco di Legnago; 1 dal Sindaco di Vicenza; 1 dal Presidente della Provincia di Vicenza; …; 1 dal Presidente della CCIAA di Verona;…; 1 dal Vescovo di Verona…; 1 dal Vescovo di Vicenza…; 2 dal Rettore dell’Università di Verona”.

Anche se  “non rappresentano i soggetti che li hanno designati, né ad essi rispondono”, il partito politico imperante del momento cerca inevitabilmente di monopolizzare le designazioni, fare in modo di orientare le attività della fondazione e anche, possibilmente, quelle della banca controllata. Con bilanci delle istituzioni locali magri e società partecipate che annaspano tra mille difficoltà, è evidente che controllare i forzieri delle fondazioni e la gestione delle loro banche, non è certo irrilevante. Grazie, o per colpa, di Tremonti, le fondazioni partecipano con il 30% alla Cassa Depositi e Prestiti, decisione presa per esigenze di bilancio e di intervento dello Stato.  La CDP a sua volta presta alle istituzioni locali. Un intreccio di interessi assai poco limpidi.

In conclusione, le istituzioni che avrebbero dovuto limitarsi ad attività filantropiche sono diventate veri e propri centri di potere dei partiti. Qualcuno avanza l’ipotesi drastica di imporre per legge la vendita delle partecipazioni bancarie. La questione del controllo delle banche in ogni caso è serissima, di grande importanza per il rilancio della nostra disastrata economia. Degna di occupare uno dei primi posti nel programma di riforme del….. “governo che non c’è”.

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