Bretton Woods, amena cittadina del New Hampshire (USA), è entrata nella storia nel 1944, quando le Nazioni alleate della seconda guerra mondiale siglarono un accordo epocale. In sintesi, si stabilì la centralità del dollaro nel sistema degli scambi commerciali e si posero le fondamenta delle istituzioni che governano le dinamiche finanziarie ed i negoziati economici tra Stati: la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale.

Da almeno quindici anni, il sistema allora disegnato è messo in discussione da una schiera di Stati “emergenti” (ormai solo di nome) che, forti dei loro fenomenali tassi di crescita, sono ormai convitati decisivi ai tavoli che contano. Parliamo dei BRICS, acronimo giornalistico comprendente Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica. Che cosa unisce questi cinque Stati, così lontani per collocazione geografica e retroterra culturale? Gli elementi comuni sono molteplici: un vivace ed industrioso presente, un mondo circostante che fa la fila per andare a insediarvi nuova ricchezza, un fitto tessuto produttivo che invade il mondo con le sue merci e prodotti. In aggiunta, grandi riserve di liquidità ed un debito pubblico irrisorio rispetto al PIL, figlio di una politica economica lontana miglia da quella che hanno seguito i cosiddetti “grandi della Terra”. A fronte di questo eldorado, c’è naturalmente un lato oscuro della medaglia: laceranti disuguaglianze sociali, criminalità pressante e un senso di democrazia a corrente alternata.

Recentemente, quasi in sordina, i capi di Stato di queste cinque locomotive si sono incontrati a Durban (Sudafrica), in un summit che per molti aspetti ha segnato il passaggio di un’epoca, al pari di quanto successe nel 1944. Quali decisioni ne sono scaturite? In sintesi estrema:
–    istituzione di una Banca di Sviluppo, per sostenere grandi progetti internazionali ma anche per promuovere investimenti e sostegno ai Paesi più arretrati; ciascun dei “magnifici cinque”contribuirà all’iniziale fondo di dotazione di 50 miliardi di dollari, segnando di fatto un sentiero divergente da Banca Mondiale e FMI;
–    centralità del continente africano in termini di sviluppo di infrastrutture, manifatture e agricoltura, ribaltando così le tradizionali politiche dei c.d. “grandi della Terra”.
–    accordo bilaterale Brasile-Cina per negoziare gli scambi commerciali nelle rispettive valute, bypassando il dollaro;
–    scelta di un approccio di mediazione per gli scenari di politica estera più “caldi”quali Iran e Siria, rifuggendo dalla logica di interventi armati.
–    dichiarazione finale di aperta critica alle Banche centrali dei Paesi avanzati, che “… hanno risposto con azioni di politica monetaria non convenzionale, aumentando la liquidità mondiale, la quale a sua volta ha accresciuto la volatilità dei movimenti dei capitali, delle monete e dei prezzi delle commodity con effetti negativi sulle altre economie, in particolare su quelle dei Paesi in via di sviluppo“.

Suona a tutti gli effetti come un nuovo manifesto di indipendenza dal sistema di governo mondiale fino ad oggi imperante. Un importante passo verso il potenziale ribaltamento dei rapporti di forza globali. I più maligni osservatori fanno notare che la Cina spinge fortemente sul progetto (con il coinvolgimento del Sudafrica e gli aiuti ai paesi in via di sviluppo) all’unico scopo di cannibalizzare le ingenti risorse naturali del continente africano. Sarà, ma al confronto di un’Europa divisa su ogni minima decisione, questa mi pare una forte dimostrazione di unità d’intenti, da non sottovalutare. I BRICS hanno economie con il vento in poppa e traineranno il mondo di domani; rappresentano il 43% della popolazione mondiale, non conoscono l’ansia da spread, hanno occupazione e sviluppo garantito per il futuro. Ed ora, vogliono capitalizzare tutto questo nelle sedi che contano, certi che il meglio debba ancora venire.

 

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