Nessuno ha la bacchetta magica. La crisi morde, e fa male. Ma l’esperienza professionale  quotidiana parla chiaro: non tutti sono colpiti allo stesso modo. C’è chi non vede la via d’uscita e c’è chi purtroppo alza bandiera bianca. Ma c’è anche chi riesce a fronteggiare le difficoltà brillantemente. E persino, udite udite, chi va bene. E non dipende soltanto dai settori di appartenenza, perché ci sono casi di aziende in buona salute pur in settori cagionevoli. Ho sentito il bisogno di interrogarmi a fondo sul perché di questa situazione così variegata e ho concluso, in estrema sintesi, che ci sono tre condizioni essenziali che consentono ad alcune aziende di andar bene, nonostante tutto.

La prima la riassumerei così: “non soltanto tagliare i costi, ma investire nel futuro”. L’impresa lungimirante sa che non è sufficiente, al sopraggiungere delle inevitabili difficoltà, impugnare la scure e tagliare persone e strutture. Certamente in alcuni casi questo va fatto, ma non basta. Occorre impiegare immediatamente in modo intelligente le risorse risparmiate. Faccio soltanto due esempi di investimenti che, nella maggior parte dei casi, possono fare la differenza: intraprendere o rafforzare la via verso i mercati esteri; rilanciare l’innovazione di prodotto. Il mercato domestico è certamente in condizioni critiche, ma esistono luoghi del mondo dove la situazione è capovolta. Il “made in Italy” è ancora assolutamente apprezzato e bisogna attrezzarsi per proporre i nostri prodotti laddove qualcuno è in condizione di comprarli (e pagarli). Magari adattando i prodotti alle specifiche esigenze di quei mercati.

Seconda condizione: l’unità del vertice aziendale (la c.d. governance). Come è noto, nelle fasi di crisi esplodono facilmente le tensioni tra i membri della direzione, che molto spesso coincidono con i membri della famiglia. Assistiamo quotidianamente a scontri violentissimi tra fratelli e tra padri e figli che, oltre a determinare dolorosissime lacerazioni a livello umano, hanno l’effetto di ingessare la capacità decisionale proprio nel momento in cui occorrerebbe la massima rapidità e lucidità. Gli effetti sono spesso devastanti. Al contrario, coloro i quali riescono a stare uniti (per fortuna ci sono), a comporre con buon senso le inevitabili tensioni e magari ad esaltare le loro complementarietà, mettono le basi per resistere alle difficoltà e sfruttare i punti di forza dell’impresa familiare, che sono comunque tanti.

Ultima condizione: disporre dei necessari strumenti di controllo della gestione. Spiegherò il concetto con una semplicissima metafora: nessuna nave può superare la tempesta senza radar e tutta la strumentazione di bordo. Molti imprenditori l’hanno ormai capito, ma sono ancora tanti coloro i quali si fidano troppo del “fiuto”, dell’istinto e dell’esperienza. Tutte cose importantissime, intendiamoci. Ma oggi non sono più sufficienti. Occorre un sistema di monitoraggio serio ed efficiente: dei costi, della marginalità delle vendita, dei flussi finanziari, dei conti economici, degli equilibri patrimoniali. La temperatura corporea va misurata regolarmente e con gli strumenti adeguati, le decisioni vanno supportate con numeri credibili.

Ci sarebbe molto da riflettere su ciascuno di questi punti e contiamo di farlo nel prossimo futuro dalle colonne di labeconomy. Non si tratta certamente di un elenco esaustivo, e sicuramente esistono anche casi in cui tutto questo non basta. I nostri lettori ci aiuteranno ad arricchire ulteriormente la riflessione. Ma credo che il messaggio sia giusto darlo: a certe condizioni la partita si può vincere, il mostro fa meno paura.

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