Una vita dedicata al teatro, un impegno costante nella programmazione delle stagioni artistiche, nel coordinamento del personale interno e dei rapporti con i professionisti dello spettacolo, oltre che nella ricerca continua dei finanziamenti necessari a mantenere ben accese le luci del palcoscenico. Questa è l’attività appassionata di Angela Cauzzi, sovrintendente della Fondazione Teatro Ponchielli di Cremona e presidente dell’Associazione Italiana dei Teatri di Tradizione (A.T.I.T), che raggruppa i 28 teatri italiani di maggiore radicamento storico, artistico e culturale. Nel ringraziare la dott.ssa Cauzzi per la sua disponibilità, scorgendo il suo curriculum ultra trentennale carico di esperienze nel mondo teatrale, sovvengono alcune domande che abbiamo avuto il piacere di porle

Dottoressa Cauzzi, lei è sovrintendente da molti anni: quali sono le condizioni attuali del teatro in Italia?

Il teatro è un settore “in crisi” per definizione. In un momento difficile per l’economia generale, l’impresa teatrale soffre notevolmente, sia sotto il profilo delle vendite al botteghino che dei contributi pubblici ricevuti. Nel 2012 abbiamo avuto un calo lieve, ma generalizzato, degli abbonamenti alle varie stagioni, frutto non solo di una reale difficoltà dei potenziali spettatori ma anche del clima generale di incertezza, tale da non invogliare verso spese a prima vista voluttuarie. Anche i ricavi derivanti dalla locazione del teatro per eventi, serate e convention private si sono sensibilmente ridotti. Insomma, quando la coperta è corta fa freddo un po’ per tutti ed oggi il teatro è congelato. Ed il 2013 si annuncia anche peggiore…

Come si regge l’impresa teatrale sotto il profilo economico?

I ricavi derivanti dagli incassi dei biglietti venduti coprono soltanto il 25% dei costi circa. Il resto è demandato ai contributi statali e degli enti locali. I trasferimenti pubblici ed il mecenatismo privato consentono al teatro di sopravvivere, ma, soprattutto nell’attuale congiuntura, l’incertezza riguardo a questo aspetto condiziona fortemente la programmazione di una stagione. Basti pensare che nel settembre 2012, anche a causa degli effetti del patto di stabilità, il Comune di Cremona ha ridotto il contributo già stanziato nei nostri confronti di 50.000 euro: un fulmine a cielo già fortemente perturbato… E per la stagione 2013-2014 stiamo procedendo quasi al buio.

Come si è evoluto il ruolo del sovrintendente nel tempo?

Il cambiamento principale è riconducibile al passaggio, intervenuto nel 2003, dalla gestione diretta comunale ad una fondazione di diritto privato: ciò ha comportato un incremento di responsabilità per la mia figura, che, a differenza del ruolo di dirigente del Comune, ha il compito di gestire ogni aspetto dell’entità teatrale. Questo consente una indubbia maggiore libertà di azione: gli interlocutori a cui rendere conto, all’interno di una fondazione, sono il consiglio di amministrazione e l’assemblea, mentre ai tempi della gestione comunale la pressione politica era decisamente maggiore e proveniente da vari versanti.

Qual è il rapporto con le nuove generazioni?

I giovani sono da tempo al centro della nostra attenzione: frequentano il teatro, anche grazie a progetti mirati, quali la possibilità di ottenere biglietti a prezzi ridotti tramite le segreterie delle scuole. Per fare alcuni esempi, agli studenti vendiamo biglietti di platea per la lirica a 12 euro, e ad 8 euro per tutte le altre stagioni, anziché al prezzo ordinario di 50 euro: con questi prezzi, non si investe di sicuro su un ritorno economico, ma sulla crescita della sensibilità dei più giovani verso una passione che va al di là delle mode, su un qualcosa di vivo ed unico.

Quali sono, secondo lei, le iniziative politico-economiche da attuare per sostenere il teatro?

La politica si trincera spesso dietro la carenza di fondi per giustificare una miopia progettuale. Lo scorso anno il FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) è rimasto sui livelli dell’anno precedente, nell’intorno di 420 milioni di euro. La metà viene destinata alle 14 fondazioni lirico sinfoniche (tra cui, tanto per citare un nome, si annovera il Teatro alla Scala di Milano), l’altra metà viene distribuita tra una miriade di soggetti. Il punto è proprio questo: rendere più stringenti e selettivi i requisiti di attribuzione dei fondi statali. Ciò andrebbe accompagnato ad una migliore sinergia con la politica, spesso impegnata in iniziative culturali estemporanee, più funzionali alla visibilità mediatica immediata dei singoli promotori (ministri o assessori locali che siano) che a una seria progettualità.

La cultura può davvero aiutare la crescita economica?

La cultura è anzitutto crescita dell’individuo, ma anche economica: portare eventi di qualità in un teatro, in una piazza o in un museo, produce turismo, ricettività alberghiera, consumi e vivacità commerciale in un’intera comunità. Tutti elementi che andrebbero coordinati con un progetto che investa sul futuro, con un’idea organica di politica culturale, che caratterizzi un territorio e guardi ad una traiettoria coerente e coraggiosa. E per questo, mi creda, non occorrono i miliardi.

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