Tempi duri per la politica, almeno per la parte sana di essa. Il rischio dei continui scandali che ogni giorno riempiono le pagine dei giornali è anche quello di distogliere l’attenzione dai problemi concreti dei cittadini, primo tra tutti la ripresa della nostra disastrata economia. Ma la politica è davvero in grado di mettere in campo proposte e ricette chiare su questo tema? E poi: esistono reali differenze tra le diverse proposte? Abbiamo provato a rivolgere queste domande a due esponenti della politica territoriale, lontana da Roma e dai suoi clamori. I protagonisti di questa breve intervista sono due quarantenni, rappresentanti di quella generazione a cui ancora molti cittadini affidano le speranze di un nuovo inizio, ed il contesto è Cremona, città in cui sono nato e cresciuto. Ringrazio in anticipo Federico Fasani, capogruppo PDL in consiglio comunale, e Giovanni Battista Magnoli, segretario provinciale del PD, per la loro disponibilità.

Questa crisi sembra senza fine. Quali devono essere le priorità della politica per riprendere la via della crescita?

F: Credo che la politica debba ascoltare di più, agevolare la progettualità dei privati, facilitare l’ingresso dei giovani ai posti di lavoro mentre lo Stato deve arretrare, diminuendo la spesa pubblica ed alleggerendo conseguentemente la pressione fiscale. Rispetto ad altre realtà europee le nostre imprese e le nostre famiglie affrontano il loro percorso con uno zaino di pietre sulle spalle.

M: Per sintesi indicherò alcune parole chiave. Innanzitutto occorre investire su una politica industriale lungimirante, riconoscendo il valore dei servizi, ma non dimenticando che la nostra economia si basa innanzitutto sul manifatturiero e sull’export che da esso deriva. Occorre poi una drastica riduzione del costo del lavoro e delle relative tassazioni, anche se oggi il tema vero è dove si possono trovare i soldi per fare ciò. Infine l’incentivo alla ricerca e agli spin off è un tema da mettere al centro della agenda politica.

Complice anche la “strana maggioranza” che sostiene il governo Monti, il cittadino fatica a vedere le differenza tra i due schieramenti in materia di politica economica …. Se esistono, quali sono?

F: In Italia non esiste una rigida tradizione bipolare; tuttavia ritengo che il futuro stia in un’impostazione di tipo europeo con i due schieramenti, quello popolare e quello progressista. Le strane leggi elettorali che abbiamo favoriscono coalizioni forzate e disomogenee che di fatto portano all’ingovernabilità. In sostanza non siamo ancora pronti per un bipolarismo maturo. Nel frattempo trovo possibile la creazione di “laboratori amministrativi”, con particolare riferimento ai livelli locali.

M: Esistono di certo. Si presume che la politica della destra, anche se oggi è difficile definire cosa sia la destra in Italia, sia tendenzialmente più liberale, anche se la Lega non ha mai avuto questo approccio. La sinistra pone invece i temi del sociale come prioritari. Questo fa scaturire due visioni profondamente diverse delle politiche economiche. Certo, il magmatico sistema italiano ci consegna una destra e una sinistra spurie, non chiaramente delineate. Sulle politiche per gli ammortizzatori sociali, ad esempio, sugli aiuti a chi resta senza lavoro, credo che le visioni politiche siano molto diverse, come su molti altri punti.

Che cosa può fare la politica locale, in epoca di spending review, per dare rilancio e sviluppo economico ad un territorio?

F: Sburocratizzare, semplificare, creare pacchetti insediativi per le aziende, avvicinarsi alle imprese attraverso modelli sussidiari.  Valorizzare le competenze dei privati (profit e no profit) nell’erogazione dei servizi sia sociali che economici, farsi promotrice di iniziative volte ad aggregare le imprese, partecipare a bandi e promuovere finanziamenti purchè esistano delle progettualità concrete.

M: Innanzitutto spendere meglio. I governi locali, incapaci di decidere (antico male italiano), si sono cimentati in grandi tagli lineari alla spesa senza selezionare fra i punti di forza e i rami secchi. Per cui abbiamo tutti i servizi depressi e un territorio che si intristisce in una cupa mediocrità. Credo sia necessario fare delle scelte chiare, decidere su cosa puntare, avere il coraggio di individuare quei settori che non si riprenderanno più e staccare la spina. Occorre per contro investire su settori innovativi e dare possibilità ai giovani di esprimere i propri talenti con incubatori di impresa che all’inizio li accompagnino nel mondo del lavoro.

I recenti scandali bipartisan sollevano nuovamente una questione: meno soldi alla politica per evitare nuova corruzione, oppure è un problema di selezione della classe dirigente?

F: Distinguerei due livelli di ragionamento: finanziamento ai partiti e costi della politica sono due questioni distinte. Se si parla del finanziamento ai partiti credo che si debba rivolgere l’attenzione al modello statunitense magari migliorandolo. Per quanto riguarda i cosiddetti costi della politica, il rischio è quello di finire per essere demagogici. Spesso si sente di persone che si offrono gratuitamente per ricoprire ruoli di responsabilità…. Questo per me comporta una serie di rischi: offrire il fianco alla corruzione, perdere delle intelligenze oppure, peggio, aprire la strada ad un governo dei “ricchi” che evidentemente non rappresenterebbe tutto il Paese.

M: Io faccio il tesoriere regionale del mio partito e ho una tesi ben chiara: il tema è di classe dirigente. Se uno è un ladro, non è dandogli meno soldi che ruberà di meno. Al massimo andrà a cercarli altrove. Durante Tangentopoli rubavano soldi privati, ora soldi pubblici. Per cui bisogna controllare severamente, e investire sulle persone oneste (che non sono, per fortuna, una specie rara). Gli elettori devono vigilare: spesso chi più urla di essere puro, è quello da tenere maggiormente sotto controllo.

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