La storia che vi voglio raccontare oggi ha dell’incredibile. Passata piuttosto in sordina sui mezzi d’informazione, sarebbe degna di occupare le prime pagine dei giornali per giorni e giorni. E’ la storia di un altro “numero magico” (del famoso 3% abbiamo già parlato) che si chiama moltiplicatore fiscale. In sostanza, questo numero quantifica l’impatto negativo che un aumento delle tasse genera sulla produzione di un Paese (PIL) ed è stato fissato per anni dal Fondo Monetario Internazionale, in base a studi empirici, nella misura di 0,5. Tradotto: per ogni 100 euro di tasse in più, il PIL si riduce di 50 euro. Potrebbe sembrare una questione teorica e irrilevante. E invece è l’assunto in base al quale sono state costruite per anni le manovre finanziarie di gran parte dei Paesi del mondo. L’idea e’: aumentiamo le tasse senza tanti scrupoli, tanto l’effetto sull’economia e’ piuttosto contenuto. Esattamente l’approccio seguito anche con le recenti manovre lacrime e sangue imposte ai Paesi europei in difficoltà, i poveri PIIGS.

Amici, udite udite cosa succede ai primi dello scorso mese di ottobre. Il Fondo Monetario pubblica il World Economic Outlook dal quale emerge l’ennesima revisione al ribasso delle prospettive di crescita mondiale. E fin qui purtroppo nulla di strano. Se non fosse per una deflagrante rivelazione che emerge dalle pieghe del documento: analizzando la realtà degli ultimi 5 anni, dal 2008 ad oggi, è stato riscontrato che il famoso moltiplicatore non è stato pari a 0,5 ma bensì….. compreso tra 0,9 e 1,7! Sì, avete capito bene: per ogni 100 euro di aumento delle tasse, negli anni della crisi l’impatto negativo sul PIL non è stato di 50 euro, ma tra un minimo di 90 ed un massimo di 170 euro. Fonte: Olivier Blanchard. Il capoeconomista del Fondo in persona.

Cadono le braccia. Un errore nell’ordine del 100% ha inficiato i calcoli degli economisti e conseguentemente dei Governi almeno dal 2008 ad oggi. La spiegazione che viene fornita è inquietante nella sua semplicità: la “teoria classica dello 0,5” era fondata sull’assunto che un aumento delle tasse, per definizione recessivo, venisse “bilanciato” da una politica monetaria espansiva, basata sulla riduzione dei tassi di interesse. Peccato che, negli anni della crisi, i tassi abbiano da molto tempo raggiunto livelli minimi (addirittura negativi in termini reali) e quindi questo bilanciamento…. sia stato praticamente impossibile. Risultato: la politica fiscale ha deflagrato senza alcun contrappeso. Con l’ulteriore aggravante, in Europa, di non poter nemmeno stampare nuova base monetaria.

Ed ecco la fine amara della storia. Un ragionamento semplice e lineare come una equazione di prima media è stato fatto soltanto a posteriori. Negli anni terribili della crisi si è andati avanti con assunti vecchi di vent’anni e confezionati in un mondo che non esiste più. Il Fondo Monetario ha dovuto fare un mea culpa di cui probabilmente dovranno parlare i libri di economia. Presidenti e ministri si sono affrettati a bisbigliare con evidente imbarazzo che forse… forse sarebbe il caso di darsi un po’ più tempo per rientrare dai debiti pubblici. E mentre la Grecia va a fuoco, cerco di immaginare cosa direbbe il vecchio Keynes, economista visionario che queste cose le aveva intuite negli anni Trenta del secolo scorso.

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