Che cosa succede al mercato dell’auto? Non parliamo, in questa sede, delle diatribe tra Fiat e Volkswagen in merito ai prezzi di vendita ed alle dinamiche concorrenziali, bensì del lato “a valle” di questo settore, costituito da una vasta categoria di PMI: le concessionarie automobilistiche. Chiunque si sia avventurato in una concessionaria di questi tempi, non può aver ignorato l’aria di desolazione che si respira tra gli operatori, che passano interminabili giornate ad attendere clienti che non arrivano e che, quando entrano, chiedono informazioni e non ritornano quasi mai. La crisi globale degli ultimi anni ha colpito molto duramente questo mercato, ma non è l’unica ragione di una situazione letteralmente drammatica che ha portato – e sta portando – alla chiusura di quasi tutti i piccoli operatori monomarca.

Il settore del commercio di autovetture ha subìto una pervicace e costante azione di accanimento del Fisco nostrano, che da sempre penalizza le deduzioni fiscali delle autovetture acquistate da imprese e professionisti (con un ulteriore peggioramento dal 2013). Oltre a tale limitazione, ci sono i costi di manutenzione e funzionamento: chi avrebbe mai pensato di vedere un litro di benzina oltre i due euro? D’altra parte, le accise sui carburanti sono un’altra leva con cui sostenere pezzi di manovre finanziarie. In aggiunta, l’effetto redditometro: quanti automobilisti, possessori di auto più o meno lussuose, sono stati fermati dalla Finanza ed avvisati di successivi controlli mirati sulla loro posizione? E quanti, tra questi, hanno imboccato la strada delle concessionarie allo scopo di permutare il loro potente mezzo con una citycar, magari altrettanto trendy, che li tenesse al riparo da controlli indesiderati? Si dirà: l’errore non è del Fisco, ma di chi possiede auto di lusso e dichiara redditi incompatibili con il mantenimento delle stesse. Vero. Certo è che si sono visti difficilmente settori così ostinatamente tartassati, in modo mirato e senza tregua, per un periodo così lungo. Gli unici incentivi sono sempre arrivati “a monte”, a favore del nostro benemerito produttore nazionale che, intascati i benefici, ha prodotto in serie quantità di modelli mediocri, perdendo quote di mercato, ed ora volge lo sguardo altrove. Ma questa, come detto in premessa, è un’altra storia.

Il risultato di questa campagna di strangolamento delle concessionarie è la concentrazione del mercato nelle mani di pochi grandi operatori con risorse finanziarie adeguate, che non marginano sulla singola vettura venduta, bensì sugli sconti e premi concessi dalle case produttrici per acquisti di grossi quantitativi di automezzi; vetture che poi devono essere “smaltite” in fretta attraverso una rete di punti vendita più estesa possibile, essendo il bene in questione tra i più facili a perdere velocemente valore di mercato. Il resto è lasciato a campagne di sconti sempre più aggressive, servizi di fidelizzazione mirata della clientela e, novità recente, vendite on-line (con inevitabile risparmio di costi sui cosiddetti “salonisti”, il personale addetto alla vendita): azioni legittime, che servono per tenersi in piedi in un mercato da mors tua vita mea.

Si va verso l’orizzonte già visto nei telefilm americani di vent’anni fa: grandi spiazzi con centinaia di macchine in vendita, nuove od usate, lasciate per mesi all’aperto in attesa di acquirenti famelici di occasioni: con tutto quello che ciò comporta in termini di scadimento del livello di servizio e disoccupazione. Ma di tutto questo si parla pochissimo, lo Stato ancora una volta pensa soltanto a fare cassa senza alcuna minima strategia di politica industriale per le nostre PMI.

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