Il nuovo “decreto sviluppo” è finalmente arrivato alla firma del capo dello Stato, modificato rispetto alle anticipazioni uscite una settimana fa sulla stampa e pronto per nuovi stravolgimenti, conseguenti all’iter parlamentare. Si notano alcune buone intenzioni verso le imprese del settore immobiliare, prima tra tutte quella dell’innalzamento del bonus sulle ristrutturazioni edilizie, che passa dal 36% al 50%, con una soglia limite agevolabile raddoppiata. Contemporaneamente, si è ridotto alla stessa percentuale il bonus per i lavori che consentono un risparmio energetico. Si è subito levata la critica di chi sostiene che viene in questo modo svilito il senso di interventi innovativi ed ecocompatibili, ma ci saremmo preoccupati di un’assenza di critiche e, nella fisiologia del dissenso, diamo una piena promozione a questa iniziativa, che prova a dare una sferzata ad un settore, quello delle costruzioni, in coma profondo. A quanto sopra, si aggiunge la cancellazione dell’esenzione IVA per le vendite fatte da costruttori oltre i cinque anni dalla fine dei lavori. Una norma poco conosciuta dai non tecnici, ma che ha pesato molto su imprese con lotti di immobili invenduti per anni, costrette alla beffa di dover riversare l’iva portata a credito sui costi di costruzione. E’ stata purtroppo cancellata, per carenza di risorse, la norma di esenzione triennale dall’Imu sui fabbricati da vendere. Nello scorrere le altre misure introdotte, a parte l’estensione della semplificazione alla costituzione di srl con capitale minimo anche per gli over 35 (norma, a nostro parere, di scarso impatto sulla crescita) o la concessione di un bonus sull’assunzione di alti profili professionali (idem come sopra), non sono previste misure di incentivazione fiscale capaci di dare un benché minimo “shock” al sistema. Tuttavia, a ben guardare, nelle pieghe del provvedimento sono state inserite due norme di civiltà giuridica, ampiamente auspicate e rispetto alle quali va levato un plauso.

La prima consiste nell’introduzione di un filtro per la presentazione degli appelli civili, che possono essere dichiarati inammissibili dal giudice qualora manifestamente privi di fondamento e verosimilmente senza possibilità di accoglienza da parte del giudice di secondo grado, anche in base a giudizi analoghi già pronunciati sulla stessa materia. Nel caso in cui la parte ritenga in ogni caso legittime le proprie istanze, potrà comunque proporre ricorso per Cassazione.

La seconda riguarda le imprese in crisi: l’imprenditore avrà la possibilità di presentare un ricorso in Tribunale, privo di formalità e degli allegati oggi richiesti, che blocchi immediatamente le azioni esecutive individuali, estendendo la protezione offerta dalla legge fallimentare e consentendo all’imprenditore di valutare, con i professionisti di fiducia, la strada più opportuna (che sia un concordato, un piano di risanamento o una ristrutturazione del debito). Il tutto al fine di evitare di compiere, sotto il pressing dell’emergenza, azioni dannose per la continuità aziendale o peggiorative del dissesto. Viene anche introdotta la possibilità di ottenere, fin dai primi passaggi di questa procedura, l’erogazione di finanza interinale, al fine del completamento di operazioni di composizione della crisi o di rilancio aziendale (banche permettendo…).

In conclusione, non è certo facile “fare sviluppo” con le casse drammaticamente vuote. E’ comunque apprezzabile il tentativo di affermare alcuni principi e tentare un intervento normativo che definirei interessante non tanto sotto il profilo della crescita, quanto sotto quelli della semplificazione e dell’equità.

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