Può diventare lo sport del momento. Quando tutto va male, e non si vede soluzione, la proprietà potrebbe pensare che cambiare il manager rappresenti una delle soluzioni, forse la sola, se tutte le altre sono state percorse. E’ come cambiare l’allenatore, se riteniamo di avere la squadra giusta ma mal allenata. Occorre comunque evitare di incorrere in un errore di valutazione: a volte la squadra è stata scelta dall’imprenditore stesso, guardando soprattutto all’aspetto economico della scelta, a volte da altri manager poco avveduti. Capita quindi che la struttura sia formata da persone di medio livello, anche mediocri, dato che la qualità e la bravura si pagano; e succede pure che un direttore generale insicuro ami circondarsi di collaboratori che non abbiano le capacità di oscurarlo. E quindi ci ritroviamo con un personale poco motivato, che non prende iniziativa ed opta per il quieto vivere.

Prendo spunto da ciò che è avvenuto recentemente in Assicurazioni Generali. Come molti sanno, Perissinotto, AD di lungo corso all’interno della compagnia triestina, è stato sostituito improvvisamente da un manager notoriamente rampante “alla Mourinho”, tale Mario Greco, che è stato capo della eterna rivale Ras (ora Allianz). Come ogni allenatore,  egli si porterà il suo fidato team e deciderà sui ruoli chiave della futura squadra. Questo è un punto importante: qualunque scelta si faccia, l’imprenditore deve sapere che affidarsi ad un nuovo manager vuol dire anche dargli fiducia e trasferirgli parte delle leve del comando. Non sempre questo succede e quindi non è raro vedere nelle PMI l’attribuzione di una qualifica anche altisonante a bravi manager senza dare loro una reale delega di poteri. E a questi manager fa molto comodo adeguarsi alle decisioni dell’imprenditore senza prendersi troppe responsabilità in prima persona. Bisognerebbe invece che essi interpretassero le linee guida della proprietà avendo tutti gli strumenti per metterle in pratica. L’imprenditore dovrebbe restare in un ruolo di controllo ed intervenire soltanto nel caso in cui, decorso un congruo tempo, i risultati non arrivassero. Eventualmente anche allontanando il manager incapace.
Parliamo di congruo tempo in quanto ogni piano di azione può esplicarsi in un orizzonte temporale non breve e sarebbe oltremodo pericoloso valutare, anche con gratifiche economiche, un top manager solo basandosi su risultati immediati, che non raramente sono di breve vita. Per un direttore generale non onesto intellettualmente, ad esempio, sarebbe facile non spendere in manutenzione per alleggerire i costi e avere un risultato economico migliore. Ma questa non sarebbe una scelta industriale oculata. La tendenza attuale è quella di valutare i top manager su un periodo di almeno tre anni. Anche Mourinho non ha vinto tutto e subito, pur bravo che sia. Ma Moratti ha osservato il miglioramento continuo e i risultati sono poi arrivati.

Ma torniamo al caso Generali. Sembra che la rimozione del top manager, 30 anni in Generali e da 11 al vertice, non sia stata dettata da motivazioni gestionali. Certo, Generali non ha brillato in Borsa rispetto ai concorrenti. L’ex manager sembra che abbia richiesto sacrifici ai soci, leggasi aumento di capitale. E i soci hanno preferito giocare un’altra carta, quella di un “fuoriclasse” che possa risolvere tutti i problemi senza far sostenere loro dei sacrifici. Come non biasimarli. Staremo a vedere se a questo fuoriclasse si faranno delle maggiori concessioni, altrimenti non durerà a lungo. Ma la bravura di un manager sta anche nel dialogare con la proprietà, illustrare i piani e guadagnarsi il suo convinto supporto. Tutto risulterà più facile e chiaro. Il compito più difficile rimane quello della scelta del giusto manager: è colui che riesce ad individuare il migliore “modulo” di gioco, adatto alla squadra che si ritrova, al limite con qualche buon innesto di giocatori. E’ colui che è anche flessibile nell’interpretare, adattare ed implementare le linee guida dettate dalla proprietà.

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