Mantovano doc, Gianguido Corniani è alla guida di Weightpack Spa, media impresa italiana nel settore dei macchinari per il packaging, insieme ai fratelli Andrea e Giovanni ed altri tre soci. Fondata dal padre Carlo, autentico genio tecnico riconosciuto nel mondo e tuttora in attività, l’azienda compete oggi sul mercato globale, presente nei quattro continenti.  Un esempio preclaro delle straordinarie potenzialità dell’impresa italiana nel mondo, capace di risultare vincente attraverso lo sviluppo di tecnologie di eccellenza e l’attitudine a soddisfare le esigenze particolari del cliente. Ringrazio sentitamente Gianguido per la grande disponibilità dimostrata nel mettere a nostra disposizione la sua preziosa esperienza.

Signor Corniani, quali sono secondo lei i fattori più critici che minano la sopravvivenza delle PMI italiane?
L’aspetto che considero più inquietante del “sistema Italia” è secondo me l’assoluta incertezza delle regole del gioco. Arriverei a parlare di “etica dello Stato”: come si può definire etico uno Stato che cambia sistematicamente le regole? Che introduce continuamente nuove imposte, balzelli, lacci e lacciuoli di ogni tipo e spesso con effetto retroattivo? I “patti con lo Stato” di qualunque natura vengono sistematicamente disattesi. In questa situazione non vi è alcuna certezza per coloro i quali devono decidere di fare investimenti nel Paese. L’altro fattore insopportabile per l’impresa, in qualche modo connesso al primo, è la burocrazia asfissiante.

Sappiamo che lei ha una profonda conoscenza del sistema americano. Quali sono le differenze più eclatanti che vede tra quel sistema ed il nostro?
Vorrei premettere che negli Stati Uniti non è tutto oro, però, riprendendo il tema della burocrazia, le differenze nel rapporto con la Pubblica Amministrazione sono abissali. Lì ti trovi di fronte uno Stato che aiuta e favorisce l’impresa. Racconto una storia recentissima: un imprenditore sul punto di aprire un’azienda in una certa Contea della Virginia, è stato contattato dalla Contea confinante per convincerlo a trasferire l’azienda sul proprio territorio. In cambio gli avrebbero dato il capannone e sgravi fiscali per lo start up! Questo fa capire quale sia la considerazione delle imprese. Un’altra differenza importante è data dalla contabilità per cassa: la base imponibile si calcola partendo dall’incassato, non dal fatturato come da noi, e questo aiuta moltissimo sia sul fronte dell’imposizione fiscale che nella gestione del cash flow.

Mercato del lavoro: come vede il sistema italiano, anche in comparazione con quello americano?
Il confronto con gli USA è assolutamente impari; lì il mercato del lavoro è mobilissimo. L’estrema mobilità vale sia dal lato dell’impresa, sia dal lato del lavoratore. Questo sistema ha grossi vantaggi, ma anche alcuni svantaggi: l’impresa non si fa problemi ad assumere, non avendo vincoli al licenziamento; per contro, il “tasso di fedeltà” è piuttosto scarso: può capitare di investire nella formazione di una risorsa che poi per pochi dollari in più ti abbandona senza problemi. Penso però che prevalgano i vantaggi in un sistema di tipo americano: il merito alla lunga prevale e porta benefici ad entrambe le parti.
Ritengo che il mercato del lavoro in Italia sia notevolmente penalizzato dalla sua eccessiva rigidità unitamente ai tempi infiniti e alle incertezze delle cause di lavoro. Tutto è rimesso alla discrezionalità del singolo giudice il quale, nonostante la giurisprudenza consolidata, può interpretare diversamente le norme e ribaltare quanto normalmente stabilito fino a quel momento.

A proposito di piccole imprese, nella competizione globale è ancora possibile sostenere che “piccolo è bello”?
A mio avviso essere piccoli dà una flessibilità che spesso risulta vincente. Ritengo che “il piccolo” vada bene se si è in presenza di prodotti ad alta tecnologia; andrebbe ancora meglio se gli istituti di credito fornissero strumenti per combattere ad armi pari con i grossi competitor. Noi facciamo macchine per il packaging e spesso ormai i nostri clienti, comprese le multinazionali, acquistano a rate. Pensi che ci capita spesso di essere in concorrenza con grandi gruppi che nella compagine sociale hanno persino una banca (tipicamente i tedeschi!) e possono presentare il pacchetto completo di prodotto industriale e finanziario.

Per la crescita dimensionale, oltre ad un diverso approccio delle banche, occorre una maggior disponibilità alla delega da parte degli imprenditori. Le sembra un cambio di mentalità possibile?
Vede, io ritengo che le imprese italiane siano piccole non tanto per un’attitudine culturale, quanto perché non gli è data la possibilità di crescere. È vero che tutto nasce dall’impulso di un singolo o di una famiglia, ma poi si rimane piccoli per mancanza di un sistema che incentivi e favorisca la crescita. Non a caso negli alti vertici delle multinazionali si trovano molto spesso manager italiani: quindi forse non è così vero che nel nostro dna c’è soltanto la piccola dimensione!

Voliamo con la fantasia: se lei fosse il ministro dell’economia, quali sono i primi tre provvedimenti che assumerebbe per rilanciare lo sviluppo?
A costo di apparire banale al primo posto metto la pressione fiscale. Non posso non fare il confronto con gli USA dove le aziende più grandi arrivano al 25% di imposizione. Da quando abbiamo fondato l’azienda, noi abbiamo sempre reinvestito tutti gli utili; il problema è che rimane sempre meno da reinvestire! Un altro provvedimento che prenderei è nell’ambito della giustizia, sotto un duplice aspetto: uno riguarda il mondo del lavoro, nei termini che dicevamo prima. Il secondo è sul tema del recupero dei crediti: la giustizia viaggia secondo tempi che sono del tutto incompatibili con quelli delle imprese. Infine farei qualcosa per ridurre i tempi dei pagamenti, anche tra privati: non si capisce perché in Germania si regolino le transazioni a 30 o 60 giorni e noi abbiamo di regola ormai 120 o 150. Per non parlare dei pagamenti della Pubblica Amministrazione…

Per concludere, si sente ottimista o pessimista rispetto al nostro sistema imprenditoriale?
Personalmente sono di indole ottimista, e lo sono anche per le nostre imprese. Vedo comunque una crescita nella cultura imprenditoriale, data dal fatto che molti imprenditori si sono affacciati sui mercati esteri e stanno imparando dalle best practices delle imprese più efficienti. Come molti altri imprenditori, voglio continuare a fare impresa in Italia; e se dovrò investire in altri mercati per poter sopravvivere anche in Italia, sono pronto a farlo.

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